Digital Innovation e Smart Working: due facce della stessa medaglia?

Da una parte sembra che l’emergenza sanitaria abbia reso lo Smart Working la nuova frontiera del lavoro in Italia e in Europa. Dall’altra parte per renderlo veramente efficace è più che mai urgente accelerare l’alfabetizzazione digitale.

Alla luce di questa necessità, la spinta dello Smart Working potrebbe avere importanti ricadute positive per la Digital Innovation.

Solo qualche mese fa scrivevo la tesina del corso universitario “Genere, politica e istituzioni” sulle politiche messe in campo da soggetti pubblici e privati a favore dell’equilibrio tra vita professionale e vita privata. Tra gli strumenti spaziali si annoverava lo Smart Working, proprio come una delle leve a favore del work life balance. Sembra passata una vita. Con la crisi sanitaria lo Smart Working non è più una possibilità remota di poche imprese ma è diventata una necessità. Da un giorno all’altro, molte aziende hanno dovuto passare ad esso con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi e le possibilità di contagio, senza rinunciare a portare avanti le proprie attività.

Tuttavia, il concetto di Smart Working resta ancora oggi confuso e spesso assimilato al telelavoro o al lavoro da remoto. Cosa si intende quindi con Smart Working e qual è il suo sviluppo in Italia?

DEFINIZIONE – Lo Smart Working è definito dall’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano come “un nuovo modello di organizzazione del lavoro fondato sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.” L’enfasi dunque è sul superamento della rigidità dei vincoli nell’orario e nel luogo di lavoro, a favore di una più matura relazione basata sul lavoro per risultati. L’obiettivo esplicito è quello di trovare un migliore bilanciamento tra obiettivi aziendali ed esigenze individuali.

RIFERIMENTI NORMATIVI – In Italia, dal punto di vista giuridico lo Smart Working o Lavoro Agile è disciplinato dalla Legge n.81 del 22/05/17 come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici…”. Si tratta di una normativa particolarmente avanzata perché evidenzia che lo Smart Working non è “solo” una forma di conciliazione, ma una vera e propria evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro che permette di superare il paradigma del contratto di lavoro come “affitto di tempo”, rimuovendo rigidità e vincoli antistorici tipici del lavoro dipendente, senza togliere diritti ai lavoratori, ma ricercando un miglior bilanciamento tra obiettivi di competitività ed esigenze dell’individuo.

Lo Smart Working è quindi un modello organizzativo in grado di portare vantaggi in termini di produttività, di raggiungimento degli obiettivi, ma anche di welfare e qualità della vita del lavoratore.

Ma quanti sono gli smart worker in Italia? Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working, il numero dei lavoratori che godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati sta aumentando di anno in anno. Dai 480.000 stimato nel 2018, arriviamo nel 2019 a quota 570.000 lavoratori agili, quindi circa il 20 per cento in più.

Le nostre aziende sono pronte? Qui entrano in gioco diversi aspetti: tecnologie, competenze e cultura sono le basi fondanti di ogni buona pratica di Smart Working. Mi concentrerò sugli aspetti relativi a tecnologia e competenza digitale.

Una delle prime attenzioni, all’atto dell’avvio di qualsiasi iniziativa di Smart Working, deve essere quella di analizzare la dotazione tecnologica disponibile per comprendere la fattibilità concreta del progetto. Le tecnologie digitali rivestono infatti un ruolo fondamentale nell’agevolare e rendere possibili nuovi modi di lavorare. Se la disponibilità di tecnologie digitali è una condizione necessaria per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto, affinché questo avvenga in modo efficace occorre agire sullo sviluppo di competenze digitali che siano trasversali rispetto al profilo professionale di ciascuno.

E, in Italia, le competenze digitali sono più che mai necessarie, alla luce anche degli ultimi dati pubblicati.

DATI SULLA DIGITALIZZAZIONE – Secondo l’ultimo rapporto Istat nel 2019 un italiano su tre non ha mai usato internet, il 25 per cento delle famiglie italiane non ha una connessione e oltre il 41,6 per cento degli utenti ha competenze digitali basse.

Qualche giorno fa sono stati pubblicati anche i dati DESI (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società) per il 2020. Per la digitalizzazione dell’economia e della società, l’Italia si pone al 25° posto tra i 28 Stati membri dell’UE. Tra l’altro ci posizioniamo ultimi per quanto riguarda le competenze digitali. Se i dati indicano che l’Italia è in buona posizione in termini di preparazione al 5G e anche di offerta di servizi pubblici digitali, le carenze più gravi riguardano il capitale umano, ambito per il quale l’Italia si colloca ora all’ultimo posto nell’UE.

Qualche dato: solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE). Sebbene sia aumentata raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti TIC in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%). La quota italiana di laureati nel settore TIC è rimasta stabile rispetto alla relazione DESI 2019. Solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline TIC (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti TIC di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici.

Anche l’uso dei servizi Internet in Italia rimane ben al di sotto della media UE. La posizione in classifica del paese è rimasta invariata rispetto alla relazione precedente (26°posto su 28 Stati membri). Lo scarso uso dei servizi Internet riflette il basso livello di competenze digitali.

Davanti a tutti c’è il virtuoso nord Europa con in testa Finlandia e Svezia. Alto il livello di competenze digitali (76%), ben oltre la media europea, e ampia disponibilità di tecnologie 5G.

Il rapporto si conclude con una nota positiva: l’Italia sta avviando iniziative volte a rafforzare le competenze digitali e affrontare il tema dell’inclusione digitale. Proprio nel rapporto si legge che “Un approccio sistemico nel tempo, maggiori investimenti e il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati sono tutti elementi importanti per innalzare il livello di digitalizzazione delle PMI italiane e dare impulso all’economia digitale del Paese.” E’ notizia di questi giorni: Google investirà in Italia oltre 900 milioni di dollari, con l’iniziativa “Italia in Digitale”, che consiste in un piano dedicato alle piccole e medie imprese che ha quale obiettivo principale quello di accelerare la trasformazione digitale del Paese. (Fonte European Commission, Countries performance in digitalisation 11 June 2020)

Altra buona notizia di questi giorni: Google investirà in Italia oltre 900 milioni di dollari, con l’iniziativa “Italia in Digitale”, che consiste in un piano dedicato alle piccole e medie imprese che ha quale obiettivo principale quello di accelerare la trasformazione digitale del Paese.

In tale contesto, non sorprende che, secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working, il lavoro agile sia ancora molto poco diffuso tra le aziende italiane, pur con un picco del 58% tra le grandi imprese. E questo nonostante la legge ad hoc del 2017.

Da una parte sembra quindi che l’emergenza sanitaria abbia reso lo Smart Working la nuova frontiera del lavoro in Italia e nella UE. Dall’altra parte per renderlo veramente efficace è più che mai urgente accelerare l’innovazione e l’alfabetizzazione digitale.

Potremmo, infine, vedere il bicchiere mezzo pieno chiedendoci se, alla luce di questa necessità, la spinta dello Smart Working potrà avere anche importanti ricadute positive per l’innovazione delle aziende e l’alfabetizzazione digitale.

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